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LA BICI

La Bici è quel momento folgorante in cui la passione incontra il dolore, il dolore sublima in vittoria, o in follia. Ho conosciuto il ciclismo grazie agli amici e agli aneddoti da loro raccontati, al bisogno di esplorare uno sport che tanto ha dato da scrivere e da ammirare a fior di letterati, musicisti, poeti. Vi descrivo il mio ciclismo, in tre personaggi: Coppi, Merckx e l’unico Romeo Meo Venturelli.

IL PIRATA

Io non sono appassionato di ciclismo, ammetto. Ma dell’atleta si, di quello ho sempre avuto grande rispetto e invidia, perché un po’ avrei voluto la tenacia di chi  sempre tenta di superare quanto dal proprio corpo gli è imposto. E quando i miei amici ciclisti mi hanno ricordato che oggi sarebbe stato il dodicesimo anniversario dalla scomparsa del pirata, ho pensato fosse giusto tentare di omaggiarlo. Non ha senso che io spenda parole su questo straordinario personaggio dello sport italiano perché non riuscirei a rendergli onore come merita. Vi giro una serie di link da cui potrete cogliere grossi spunti per festeggiare San Valentino con un uomo fatto di cuore al 100%. Il primo è un ritratto a 360° tramite una serie di documentari di Sfide, grandissima serie di incontri televisivi Rai su atleti presenti e passati. La seconda è una radio intervista al Premio Nobel Dario Fo.
Buona visione e buon ascolto.

Marco Pantani in maglia gialla, proiettato in verticale e seguito da una lunga scia nera sulla quale compaiono data di nascita e di morte, in segno di lutto per questo grande vuoto lasciato dal ciclista romagnolo nel ciclismo italiano.

IL CANNIBALE

La scoperta di Merckx, così come del ciclismo, è stata un caso folgorante da cui è scaturito un grande rispetto per l’eroismo legato a questa disciplina e a quest’uomo enorme. Chi sale sui pedali lo fa col chiaro inevitabile intento di soffrire, nei tornanti, nelle salite, nei sorpassi, nelle cadute.

Il Cannibale mangiava  l’atroce dolore altrui, un nutrimento capace di spingerlo sempre oltre. Per vincere tutto, per arrivare quasi a diventare noioso nella sua risolutezza. Un piccolo omaggio alla sua prima Milano-San Remo, quella del ‘66, uno dei primi morsi lasciati alle classiche dal grande belga.

Eddy Merckx, detto “il Cannibale” immortalato con la maglia Peugeot Michelin mentre vince la Milano Sanremo del 1966. Vestito di bianco e nero, capello impeccabile, sullo sfondo si staglia il Duomo di Milano stilizzato, mentre il ciclista nella sua scia mostra la bandiera belga, di cui rimane il più grande sportivo di sempre.

IL MATTO

Roland Barthes scrisse che l’ingresso nell’Epopea, per i ciclisti, si attua attraverso la diminuzione del nome, che diventa leggero, testimone in una stessa sillaba di un valore sovrumano e di un’intimità tutta umana. Romeo, detto “Meo”, Venturelli, nasce a Sassostorno di Lama Mocogno, il 9 Dicembre del 1938, in una di quelle poche case sparse lungo le pieghe della valle, poco lontano dalla statale 12 dell’Abetone. Su quella scalinata, un anno e mezzo dopo, l’Eroe perfetto si rivela al Mondo. Sotto l’acqua e la grandine  Fausto Coppi vola lungo i tornanti verso Barigazzo, lambisce Meo e le case di Sassostorno, poi plana verso Modena. Indosserà la sua prima Maglia Rosa, che porterà sino a Milano. Alla fine del 1959 Meo è diventato un corridore vero, ha vinto tutto da dilettante, 23 corse solo nell’ultimo anno. La Federazione gli propone di correre l’Olimpiade di Roma, ritardando il suo passaggio al professionismo. Meo rifiuta, firma con la San Pellegrino, Gino direttore sportivo, Fausto capitano e poi lui, l’erede designato.
Va a bottega da Fausto, per apprendere l’arte del ciclismo e della vita. I rapporti da usare, la dieta da seguire, i comportamenti e le accortezze quotidiane. Per ripagare la fiducia Meo mostra al Campionissimo il suo talento. In discesa gli porge un panino guidando la bici con una sola mano, a sessanta all’ora. In pianura tira, allunga e stacca Fausto dalla ruota. In salita è una moto.
Merckx, dieci anni prima.
Fausto è convinto, “è un campione” dirà. Ma Meo è una testa matta, ha bisogno della sua guida per compiersi.
A fine anno Meo accompagna a casa Fausto, di ritorno da una trasferta nell’Alto Volta. Coppi non lo sa, ma in Africa ha contratto la malaria. Il 2 gennaio 1960 Meo ascolta dalla radio la notizia che cambierà il suo destino.
Fausto Coppi, L’Eroe perfetto, muore. Meo, solo, alternerà poche straordinarie imprese a innumerevoli e leggendarie cadute. Tutto o niente.
Il medico di Coppi, Luigi Lincei, parlando di lui è sicuro: “potrebbe essere il corridore più completo di sempre”. Quel potrebbe è decisivo. Un giorno lo manda ad allenarsi sulla Porrettana, deve fare avanti e indietro. Vuole controllarlo, e allora sale in macchina, senza farsi notare. A un certo punto si distrae e non lo vede più. Lo ritrova a Marzabotto, la bici poggiata su un argine. Meo è sulla riva del Reno, lancia i sassi nel fiume, li osserva, ne ascolta il suono. “Che fai?”
“Il gluchista”, risponde.

La prima gara della stagione è la Parigi-Nizza, una corsa a tappe.
Corre in fondo al gruppo, per non fare fatica. Poi gli dicono che i due francesi, Anquetil e Rivière, stanno ridendo di lui, che lo vogliono staccare. Allora risale il gruppo, li salta e vince il gran premio della montagna. Poi c’è la cronometro, da Vergèze a Nimes, trentasette chilometri che affronta a quasi quarantatré di media. Dà mezzo minuto ad Anquetil, uno che avrebbe vinto 5 Tour De France.
Giro d’Italia, seconda tappa. Sorrento-Sorrento, venticinque chilometri a cronometro. La strada corre stretta da muri di vecchie pietre, poi s’inerpica sulla salita del Monte Faito e ridiscende tra curve a gomito e tratti in pavé. In cima Meo ha trentasei secondi di ritardo da Anquetil. Il francese è già al traguardo, lo chiamano sul podio, gli consegnano la maglia rosa. Sembra fatta. Ma Meo fa il diavolo in discesa, disperde anche i poliziotti sulle moto.
E vince, per 6 secondi, su Anquetil.
Maglia Rosa.
È festa, anche a Lama e a Pavullo. E Meo ne vuole fare parte, si lascia andare. Qualche bicchiere di troppo, e ostriche si dice. Qualcuno giura di averlo visto a Pavullo, quella sera stessa, a far bagordi con i suoi amici. C’è chi lo vorrebbe con qualche miss, a far le ore piccole.
Il giorno dopo c’è la Sorrento-Campobasso, Meo perde subito la maglia. Altre due tappe e si ritira. Da lì in avanti Meo colleziona più indigestioni che successi, e tanti aneddoti, troppi da raccontare.
Al circuito di Vignola prende un giro di vantaggio sul gruppo, poi scompare. Lo cercano, si è fermato sotto un platano, all’ombra.
Alla Nizza-Genova vanno in fuga in tre. Meo annuncia, “se voglio, vado a prenderli da solo”. Recupera i tre minuti, li riprende. Poi si ferma, aspetta il gruppo. “Visto che li ho presi?”. Gira la bici e torna in albergo.
Prima di una corsa vuole una fetta d’anguria. Ne mangia una, due, tre, otto. Poi si lamenta del mal di pancia. Dimentica i pantaloncini, scorda le scarpe, corre con i mocassini. Ad una Tre Valli Varesine il capolavoro. Va alla partenza, ma senza bici. Nessuno gliela presta, si deve ritirare.
Gli piacciono le auto veloci, “che vanno a duecento all’ora”, ma ancor di più le donne.
È a Milano, lo hanno inviato in Rai, deve fare 3 minuti di pubblicità per la San Pellegrino, in diretta. Arriva in studio, aspetta il suo momento, poi scompare. Lo cercano dappertutto, lo trovano in camerino con due miss. Lo portano di nuovo in studio, per gli ultimi 2 minuti.
Mai a letto prima di mezzanotte, diceva. Alla Roma-Napoli-Roma fa colpo su una ragazza che lavora sul pulmino della Coca-Cola, le dà appuntamento e lei si presenta, ma con un’amica. Le invita al ristorante, poi in un alberghetto poco distante dalla Stazione Termini. “Mai divertito tanto”, dirà.
E tanti saluti a George Best.
Vincerà solo 6 gare da professionista, ma che divertimento.
Va in fuga un’ultima volta, il 2 aprile 2011.Ciao Meo, grazie.

Romeo Venturelli sfreccia sulla sua Bianchi azzurra, vestito con la classica tenuta nero-arancio della San Pellegrino. Sullo sfondo si stagliano i busti di due ciclisti di cui è stato contemporaneo e di cui lui sarebbe dovuto diventare erede: Fausto Coppi, dal tipico profilo allungato, e Gino Bartali, con aria rabbuiata e austera.

Non mi dilungo oltre nel testo, principalmente perché gli ultimi due poster che vado a presentarvi sono due commissioni fatte per Criterium Italia e per Nuova Corti. Il primo è la presentazione della gara di Salsomaggiore, il secondo è un poster che fu regalato all’iridato italiano quando venne in visita al negozio anni fa. Ma nel futuro ci sarà ancora bici 😉

poster promozionale gara di Salsomaggiore per il primo campionato italiano della Federciclismo Scatto Fisso.
Alessandro Ballan scivola giù da una discesa in un paesaggio montagnoso, con la tipica divisa a strisce da campione del mondo addosso.

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